Narratore: Abbiamo qui un amico, è qui da tanto tempo. Qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse. Dice che gli anziani andavano lì sotto a prender decisioni e anche nelle feste e ai riti delle mani. Qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse. Dice di suo padre e del padre di suo padre ancora, racconta che, a volte, curava i malati e altre propiziava le gesta degli amori. È uno del villaggio e gli amici non gli mancano. Qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse. Dice che le streghe non si avvicinavano. Dice che i soldati si fermano. Ma questo, dice, era molto tempo prima, prima ancora di prima: quando le case ancora non c'erano e lui aveva già affondato le radici. Tutti qui lo conoscono e lui è gentile con tutti. Di novembre in novembre va raccontando cose, spargendo colori e fumi. Dice che l'inverno è un grido silenzioso e che l'estate canta. Ci spiega cose semplici e nascoste e ci racconta il ritmo dei giorni dentro i giorni. Qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse. Dice che col caldo arrivavano da lontano e ovunque era famoso per la sua grande ombra. Dice che nel freddo si riparava con la neve e già allora dieci braccia non potevano abbracciarlo. Qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse. Dice di suo padre e del padre di suo padre ancora. E dice che, ogni tanto, andavano a trovarlo e gli portavano doni e li lasciavano lì, sotto le sue rughe, perché con grazia li lasciasse ad ascoltare. Qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse. Dice che ci sono cose segrete in lui, come in un vecchio libro. E dice che i suoi nodi sono un lago di ricordi dove, caduto un sasso, sta pietrificata la memoria concentrica. Ma il tempo passa per tutti e un albero non sfida le stagioni se non ci sono istanti che possano invecchiarlo. Così, ieri, è morto l'uomo più vecchio del villaggio. Lui sì che ne sapeva di cose su questo nostro amico e non mancava volta che tornasse a raccontarle. Diceva addirittura di conoscerlo da ancor prima che nascesse. Diceva del padre e del padre di suo padre ancora, e lo diceva forte, perché tutti potessero sentire. Ma ormai, da un po' di tempo, nessuno restava ad ascoltarlo. "Se non ascoltano me, come faranno ad ascoltare lui?", diceva. "Se non capiscono me, come faranno a capire lui?", chiedeva. Ma il tempo passa per tutti e un uomo non sfida le stagioni se non ci sono istanti che possano invecchiarlo. Così l'hanno trovato sotto i rami, una sera di febbraio che faceva troppo freddo.

Fiorella: Si, sotto i rami ti dico! Come un frutto troppo maturo.

Narratore: È davvero una disgrazia, ora sarà difficile conservare la memoria.

Fiorella: Dici che dimenticheremo?

Narratore: Dico che gli uomini sono esseri ingegnosi e sanno amare senza essere amati, ma dico anche la fatica di restare a galla e di conservare le cose giuste del tempo.

Fiorella: Ma lui era diverso. lui conosceva le cose senza bocca e i dialoghi delle radici profonde.

Narratore: Già! Dei reattori nucleari nascosti sotto i monti, dei satelliti dispersi lungo il cosmo, dei microbi a milioni in una goccia, nulla sapeva. Ma, sapendolo, non è rimasto a bocca aperta.

Fiorella: Invece ricordo un giorno che c'era tanto vento che i rami sobbalzavano nel cielo e noi passando gli dicemmo: "Siamo i tuoi servi. Tu sei il padrone". allora sì che rimase a bocca aperta.

Narratore: Sì, non ha vissuto in questo modo. È venuto e se ne è andato a colpi di solitudine nel petto. E quelli che hanno sentito i suoi sospiri, hanno aperto le braccia per poi richiuderle in un segreto incandescente.

Fiorella: Sai, dicono fosse nella neve, sdraiato come un morto, e che gli occhi fossero aperti, e sembrava che le labbra ancora si muovessero.

Narratore: E adesso che è passato tanto vento, qualcuno addirittura lo ricorda da ancor prima che nascesse e spesso non distingue l'albero dall'uomo. Dice che la sera ci giocava a carte insieme e che dalle sue foglie si capiva se barava. Dice che d'estate i suoi fiori erano rossi e che spesso per dormire andava sotto i ponti. Sì, ora che il vecchio è morto si dicono davvero cose strane sul suo conto, ma intanto tutto continua a girare come sempre e, intanto che gira, cambia, e dove c'erano sentieri sono sbucati artigli di cemento. Nessuno ha capito perché e nessuno ha saputo spiegarselo, ma è stato facile affondarci il piede e allora tutti si sono divertiti e hanno detto che era buono. Lui però non è cambiato. Di novembre in novembre va raccontando cose, spargendo colori. Qualcuno addirittura lungo ricorda da ancora prima che nascesse e ogni tanto dice: "Bisognerebbe andare a trovarlo". Ma poi, si sa, non c'è mai tempo e il giorno adesso vola più veloce di prima. "Devono aver cambiato l'orologio" dice, ma non fa in tempo a guardare la lancetta che dal prato sono saliti cento mostri di cemento, che il cielo quasi non si vede. Nessuno ha capito perché e nessuno ha saputo spiegarselo, ma è stato facile sistemare i vestiti e i vecchi attrezzi e allora tutti si sono divertiti e hanno detto che era buono. "Dovremmo chiedergli consiglio," ha provato a dire qualcuno."Queste cose sembrano tutte buone, ma sono davvero strane". E allora, una notte, tutti insieme, sono andati, ma ormai non sapevano più ascoltare e sono tornati indietro dicendo che lui era troppo vecchio, dicendo che lui non aveva più parole. Così, da un giorno all'altro, si sono dimenticati di lui. E non c'è più nessuno che ricordi i tempi degli anziani, né gli amori nati e morti in primavera quando era tutto brillante e fiorescente. E non c'è più nessuno che sente la sua voce, e non c'è più nessuno e tutto intorno è vuoto e finestre spalancate che guardano finestre anch'esse spalancate su altre finestre ancora, una dentro l'altra e per sempre. Eppure lui non è cambiato. Di novembre in novembre va raccontando cose, spargendo colori e fumi, anche se nessuno vede, anche se nessuno sente. e c'è sempre più freddo dentro i suoi rami e sembra che il suo sangue si stia facendo ghiaccio sul punto di spaccarsi nelle vene.

Fiorella: Eppure io ti ascolto, e sento i tuoi sospiri. E presto, vedrai, verranno altri e altri ancora e tu racconterai i cicli delle cose. Come quella nuvola di cui parlavi ieri. C'era un sole alto e caldo e tu già presagivi il temporale. Dovremmo abituarci a fare come te: chiudere gli occhi e aspettare un segno, guardare con la pelle. Ma qui tutto passa attraverso gli occhi, anche l'amore adesso. E la luce che c'invade sta diventando accecante e lo sguardo fisso nel buio. Tu, invece, incameri i suoi raggi e a tal punto li trasformi da partorire il frutto. C'è un'altra saggezza nella tua staticità apparente, e ti spogli d'inverno per abbandonare i giochi di tutta un'estate e tornare a vivere sotto un'altra forma. Sapessimo noi lasciare più spesso quello che siamo: le falsità, i trucchi, le sicurezze e metterci nudi di fronte all'ignoto. Le cose che ci consumano hanno voluto essere per noi l'immagine sbiadita dei tuoi rami. Con colori artificiali abbiamo creduto di poter ricostruire le mani alle stagioni. Sì, lo so, ora ne godiamo e non possiamo farne a meno. Ma c'era un tempo in cui ogni cosa era regolata dal vento e non c'erano ventilatori nelle case. Sapevamo meno, certo, ma tutto correva incontro al futuro con suoni armonici e frugali. Ora a cosa serve tutta questa scienza se abbiamo perduto il nome delle cose e ancora non sappiamo che cosa abbiamo dentro? Sai, avevi ragione, ho pensato molto a quello che mi hai detto, non ci volevo credere. Ma... è vero, hai ragione. Siamo i soli sulla terra a combattere contro la morte. Tu, se arriva la tempesta, stringi le radici e ti lasci andare, le pietre non ci badano, il gatto ride. Quanta dignità dobbiamo ancora imparare. La saggezza millenaria della pietra, il coraggio della foglia, l'anarchia del gatto. Architetture di un respiro che abbiamo abbandonato delegando le braccia alla rovina del lavoro. Muoriamo ogni volta che scendiamo dal letto e non ce ne accorgiamo. Combattiamo contro la morte, e più la combattiamo più le andiamo incontro a gambe aperte. Tutto in te, invece, procede verso la vita e se muori rinasci per lasciare spazio al fiore che spinge e non può uscire. Io ti guardo e capisco dalle tue vene come domare la paura. Ma vedo tutto intorno ciminiere e fumi, e fabbriche che impazziscono per riempire il mondo di alberi di plastica e prati di velluto. Lo so, lo so. Quante volte me lo hai detto? La sola risposta che puoi dare è un frutto acerbo che matura col sole e con la pioggia. Vedi, ho imparato. Ma per quanto tempo riuscirai a resistere? E chi potrà aiutarti se tutto ruota in senso contrario alla ragione? Quelli che han provato a diventare pietra, a diventare foglia, a diventare gatto, li abbiamo messi via, dove nessuno li può vedere. E abbiamo detto: "Pazzi, state lontani dalle cose!". L'hai mai visto un pazzo quando si guarda intorno e sembra si allontani al di là di ogni spazio? Ha lo stesso silenzio dei tuoi gridi, le stesse parole incomprensibili. Una volta si diceva che avevano poteri magici, perché soli sapevano parlare con le cose senza bocca. Ora muoiono rinchiusi, gli abbiamo cucito la bocca. Oh, amore!, Cosa sta succedendo a questo uomo che è nato dalla terra e tutto suda per staccarsene? Le cose che ci amano stanno perdendo il loro nome e piano vengono sostituite con parole nuove che non capisco. Adesso addirittura c'è un mondo come questo tutto dentro in un computer. Chiunque ci può entrare, e ci sono gli stessi odori, la stessa brina sopra i campi. Puoi vedere, puoi sentire, puoi toccare, proprio come se fossi qui. La chiamano realtà virtuale. Se ne fa un gran parlare dappertutto e tutti sorridono e dicono che è buono. Ma a cosa serve un altro mondo? Dimmi, fammi capire dove stiamo andando.

Narratore: Poi, finalmente, lui l'ha baciata. È stato ieri, dopo il temporale. Fiorella sorrideva alla finestra e lui ha allungato i rami. Le foglie han tremolato e con le labbra segrete della luce che trasforma ha detto che una volta qualcuno andava ad ascoltarlo e che lasciava doni sotto le sue rughe. E ha detto che una volta sapevano chi era e da lontano andavano a vedere la sua ombra. Fiorella ascolta e ride, e dice addirittura di conoscerlo da ancor prima che nascesse. E dice di suo padre e del padre di suo padre ancora. E dice che la sera, sotto i rami, si può sentire il fischio dei secoli che passano e forse non si muore. e forse non si muore.



Massimo Silvano Galli

Verde - tra linfa e sangue   

da: Verde -atto unico tra linfa e sangue di Massimo Silvano Galli
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