Pamina: Capisci?

Tamino: No, non capisco.

Pamina: Non vedi questa luce? Ogni volta che compare sento il peso degli uomini che sono caduti per difendere il sole, il sole che c'hanno rubato, relegandoci a questa fredda luminescenza, questo bagliore sterile, artificiale. Penso alle loro madri, alle donne e agli uomini che amavano e rivedo lo sterminio dei detenuti, i corpi che cadono mutilati nelle fosse comuni, le donne e le bambine stuprate nei villaggi, le fucilazioni...

Tamino: Pazienza... Dobbiamo aver pazienza..

Pamina: Si, ma per quanto ancora dovremo portarci sulle spalle questo monumento ai caduti, questo sepolcro di fantasmi che invocano giustizia? Quanto tempo ci lasceranno per guardarci negli occhi e capire i pensieri che non hanno suono? Non so, delle volte mi chiedo se non abbiamo sognato troppo.

Tamino: No Pamina, non si sogna mai troppo.

Pamina: Già, era il nostro motto, ce lo siamo sempre detto. Eppure ogni giorno mi sveglio e guardo, guardo questa città bianca e soleggiata, immersa nelle tenebre del suo male oscuro; guardo l'immobile procedere del tempo e cerco... cerco i riflessi di un alba che non c'è, che forse non ci sarà mai più... questa lotta diventa ogni giorno più difficile e i sogni, gli anni che corrono così veloci... ma cosa rimarrà di questa nostra pelle che sacrifichiamo?

Tamino: Tutto. Tutto rimarrà. I soprusi, le violenze, le ingiustizie. Ma soprattutto questa forza, questa dignità che ci colpisce dentro, questa dignità che ci fa alzare ancora la testa, che sola basta a piegare le loro armi. Perché finché ci sarà un sogno più alto, più alto di qualsiasi certezza, finché ogni uomo continuerà combattere per ogni desiderio usurpato, finché continuerà a lottare per la felicità... allora non potremo perdere, allora non conosceremo la sconfitta. Solo questo, non la giustizia Pamina. La giustizia da sola non basta. Ma la felicità. Quando ogni uomo sarà libero di realizzare i propri sogni e lanciare alla deriva le lunghe dita della fantasia, allora avremo vinto. Per questo non possiamo demordere ma lasciare che la mente insegua i suoi fantasmi. Allora vedrai che anche questa luce orribile che ora si spalanca in tutto il suo orrore, piano si trasformerà nel bagliore sordo di un lampo senza tuono e una spada affilata spezzerà l'incantesimo di questa lunga notte.

Pamina: Quante volte l'abbiam fatto -ti ricordi? Gli occhi delle case si spalancavano, si divaricavano e secoli di inedia onirica prorompevano nel cielo, scoppiettavano via qualsiasi non fossero esistiti. Ma allora eravamo in tanti, allora c'era una forza un'energia che muoveva le cose. Nessuno ci poteva resistere. Nessuno ci poteva soffrire. Stavamo cambiando il mondo e gli uomini con lui. Ora cosa siamo? Guardo questa città e non vedo che l'ignavia delle braccia che piano si sgretolano frantumandosi sugli allori di un tempo definitivamente passato. Passato a glorificarsi rimembrando battute di un copione stantio composizioni sonore di frasi ormai senza senso o con un senso nuovo sì, ma a cui nessuno fa più caso. Tutte le parole magiche che abbiamo dimenticato: utopia, resistenza, uguaglianza. Parole in cui abbiamo creduto, trasformate in musica da un flauto incantato per ragioni trascendenti che appartengono alla storia delle cose non dette. Poi d'improvviso, il buio e questa fioca luce, la luce del qualunquismo gettato sulle edizioni patinate per rendere vivibile l'oscurità, per riempire il vuoto concettuale, il bianco nauseante, più che per darle un senso.

Tamino: Ma è proprio per questo che non possiamo arrenderci. E' proprio per questo che dobbiamo ancora sognare e lottare per i nostri sogni. Perché in questa luce, che ora si spalanca in tutto il suo orrore (anche se per poco, anche se falsata,anche se presto - troppo presto - andrà a declinare) in questa luce vive una speranza, una speranza celata dietro la parvenza di perfezione di questa sfera rotante su cui giriamo, questa sfera che a ogni risveglio torneremo a lanciare nel cerchio rossonero di una roulette truccata in cui, con la complicità di un dio infame, c'hanno gettato credendo così di aver cancellato per sempre i nostri sogni... e sarà lo zero verde il numero che dovremo far uscire per ricominciare, per ridare un alone di veridicità, un sentore di giustizia alla legge delle probabilità.



Massimo Silvano Galli

Preludio di un attentato   

da: Monostato -tragoidia post moderna (1994) di Massimo Silvano Galli
INDEX | RETURN | CONTACT