[...] Viviamo nella società del sapere parcellizzato, frammentato, settorializzato. Per quanto si possa supporre una riorganizzazione in atto della conoscenza umana e dei suoi modelli (una sorta di lungo ponte che tra qualche decennio sapremo definire in maniera più adeguata), osservando il reale sociale contemporaneo e le fenomenologie in atto, vediamo uomini sempre più prigionieri di modi e mondi del pensiero, rinchiusi in anguste e limitate celle dove la ricerca della conoscenza sembra a tal punto espansa da non poter essere più indagata nella sua -per quanto parziale- totalità (se non concretamente, data la vastità delle nozioni oggi disponibili, quantomeno dal punto di vista dell'atteggiamento mentale e della tensione a capire); quella "parziale-totalità" determinante alla comprensione della realtà e dei fenomeni che la compongono.

Viviamo, al contempo (e certo per la prima volta da che esiste l'Uomo), in una società fondata sulla crescita esponenziale di una conoscenza che potremmo definire "tendenzialmente universale". La nostra società, infatti, può senz'altro attribuirsi il primato della cultura come sedimento non più riservato ad una piccola elite, poiché tutti i valori che propugna presuppongono una certa -per quanto minima- alfabetizzazione, senza la quale questa società crollerebbe nelle sue fondamenta, anzitutto economiche.

Si tratta, in altre parole, di una conoscenza, per così dire "utilitaristica" e finalizzata a compiti precisi; ridistribuita secondo necessità e ruoli in primo luogo determinati dal concetto di divisione del lavoro in cui il sapere è talmente "stoccato" all'interno di ben protette e infinite camere stagne che -ad esempio- non è dato per scontato (e nemmeno per necessità) che uno scienziato, magari di fama mondiale, abbia letto, negli ultimi dieci anni, almeno il frontespizio di un libro di letteratura. E usiamo l'esempio dello scienziato solo perché in lui, più che in altri, possiamo vedere oggi il profilo di una nuova sibilla la cui voce rappresenta, per la società contemporanea, il sinonimo non di una possibile verità, ma della verità per antonomasia. Diciamo quindi che lo scienziato, ma potremmo dire l'Uomo colto contemporaneo, rappresenta il sintomo di un disposizione psichica verso la conoscenza: inclinazione di colui che di tutto ciò che occorre sapere per migliorare se stesso e la società in cui vive, conosce soltanto una dottrina determinata e anche di quella una piccola parte, quella indispensabile ad eseguire correttamente il proprio lavoro e, quindi, a soddisfare il proprio esistere economico.

Ora, l'ascesa di questo tipo di conoscenza, ha coinciso con il deperimento di quel sapere classico che mirava al rafforzamento del soggetto mediante una serie di acquisizioni e l'Uomo nuovo che ne deriva sempre più pare accartocciato su se stesso, propagazione carnale di un "io" progressivamente svuotato da ogni contenuto non direttamente legato al proprio preciso scopo produttivo e di quotidiana sopravvivenza. Così, di pari passo, anche la società, la politica, le arti e le scienze che scavano intorno e dentro alle nostre vite, si affannano ogni giorno, ognuna nel suo piccolo orticello, nel tentativo di chiarire un reale complesso ma ormai quasi incomprensibile nella sua -appunto- frammentazione.

La rapidissima evoluzione delle tecnologie di stampo elettronico ed informatico che negli ultimi decenni ha segnato gran parte della produzione umana, è, per ora, l'ultimo traguardo di un lungo processo che ha progressivamente annullato quel rapporto spazio-temporale che da sempre aveva definito l'incontro tra l'agire umano e le sue conseguenti reazioni.

A questa esponenziale accelerazione dello spazio e del tempo, non è tuttavia corrisposta un'eguale accelerazione del pensiero. Possiamo ossia affermare che mentre il corpo dell'Uomo contemporaneo è decisamente proiettato nella formula (oggi tanto in voga) "in tempo reale" (dove appunto si presuppone che non esista lasso di tempo tra l'azione e la reazione), la sua psiche è ancora fortemente legata a quella razionalità meccanicistica che, dall'invenzione dell'alfabeto in poi, ha caratterizzato il suo cammino tecnologico.

Con l'invenzione fenicia dell'alfabeto e poi, con più evidenza, passando dai caratteri mobili di Guttemberg e da lì dilagando verso tutte le altre invenzioni che hanno marcato per venticinque secoli lo sviluppo dell'Uomo, si è andata via via affermando l'intuizione (certo geniale) che dividendo un'azione in molteplici piccoli frammenti, frazionando, cioè, un comportamento complesso, è più facile non solo riprodurre quell'azione, ma anche controllarla.

Questa geniale intuizione, motore immobile di tutte le invenzioni e di tutte le scoperte (o almeno quelle considerate tali, sembrano essere escluse le invenzioni e le scoperte delle arti e della letteratura), ha finito col permeare tutti gli aspetti della vita umana permettendo all'uomo di dominare la natura e i suoi fenomeni.

Non può stupire, quindi, il fatto che oggi, dopo secoli di vincente pensiero meccanicistico, l'intero corpus sociale dell'occidente, produca, elabori, progetti, studi, partendo dal presupposto che le cose e i fenomeni devono essere frammentati, osservati e indagati gli uni separatamente dagli altri.

Ipotesi del presente lavoro è invece, e in controtendenza allo spirito contemporaneo, l'approccio iperdisciplinare, la comprensione profonda della logica e dello spirito che regolano le forze e le controforze, le leggi, i processi e i fenomeni, i poteri. Il tentativo, cioè, di abbracciare (come atteggiamento e tensione mentale, dicevamo, consci dell'impossibilità fisica del proponimento) quanto più possibile la conoscenza nella sua totalità.

L'Uomo contemporaneo, difatti, deve, più che i suoi predecessori, essere al centro delle cose. Deve: conoscere la teoria economica, conoscere la vita reale, conoscere la vita politica, conoscere le leggi che regolano la natura e le cose, conoscere la vita culturale, penetrare la storia, le arti e la scienza. Gli è imposto dalla struttura del mondo in cui vive e da come tale mondo si va configurando. Un mondo, cioè, in cui le merci, che sino ad oggi hanno sorretto il suo sistema di sopravvivenza, saranno a breve soppiantate dal traffico delle informazioni che già oggi occupa gran parte dei processi economici. L'uomo allora, come già McLuhan aveva predetto, avrà bisogno per sopravvivere di imparare a riconoscere e a raccogliere queste informazioni e una conoscenza asettorializzata, elestica, capace di giocare continuamente alla scomposizione e alla ricomposizione di se stessa, sarà lo strumento indispensabile per farlo [...].



Massimo Silvano Galli

Sapere parcellizzato  

da: Making reality -saggio (1999) di Massimo Silvano Galli
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