Chissà perché ogni scrittura che sia reale debba sempre tradursi in me nella metafora di un viaggio, di un sentiero che declina dal pendio dell'esistente sfiorando inenarrabili abissi di vocii policromatici; oppure dolcemente: poggiandosi come un piccione incatramato sulla statua superficiale dell'accadere.

E non importa se poi la strada vada avanti o indietro, sopra o sotto. Il tutto si dipana nel curvilineo rotolare di bianche strisce alate che scivolano veloci narrando di parabole coniugate in un tempo ritmico che non ammette compromessi.

Ecco: il ritmo. La velocità marinettiana con cui le ruote solcano l'asfalto del procedere, la cadenza dislessica del dire -che sarà suono e immagine ancor prima che significato.

È il suono del motore, delle marce che scalpitano, di mani futuriste che si apprestano al volante dell'immaginario schiudendosi al tamburellare di una sinfonia tutta interiore: l'allegra tirannia delle parole lanciate all'arrembaggio di un ricordo, di un profumo per l'ennesima volta caduto nel pozzo artesiano dell'avventura.

Abbandonarsi, dunque, lasciando che ogni cosa trovi un senso nuovo e segreto la cui struttura, scomparsa dalla ferrea logica, ricompaia nel miracolo di un colore di cui s'ignori la meta. Andrà a destra o a sinistra, in alto o in basso, avanti o indietro, sopra o sotto, ma sarà sempre viaggio.

E allora, quello che conterà, ciò che avrà veramente importanza, sarà sempre questo brivido sulla pelle e il riflesso di raggi che, cadendo dall'alto di un ipotetico universo, arriveranno in me, lasciando che il mio corpo prenda parte alle danze dell'istinto, ai riti dell'irrazionalità... E, prima fra tutti, l'irrazionalità capace di affondare coi denti e con le mani, l'irrazionalità delle cellule cutanee messe in fila per captare il mutevole riverbero d'odori e sentimenti, sintetizzando l'immane annunciazione delle sillabe nella grassa parola "ingravidare", fendendo l'imene dell'eccesso che tracima e, nella soggettiva inclusione delle pene personali, lascia spazio all'altrui immaginazione.

Questo il compito primigenio: permettere la fecondazione artificiale del lettore, fornendo -tra le righe- la banca di un seme controllato e incontrollabile in cui si schiude il gene del creare. Raggiungerlo nell'utero senza mediazioni. Lasciare che sia lui il partner di se stesso, trasfigurato in me scrittore per meglio condividere lo sforzo d'inventarsi. Costruire per se e per lui l'immagine perfetta di una finzione (della sola verità possibile) con cui saldare il giallo-noir d'ogni esistenza parallela (omicidi e maggiordomi compresi) e, alla fine d'ogni processo d'abbozzo macroscopico, riempire il pentolone con droghe d'ecolalia per consentire al mondo non solo di riflettersi, ma anche di passarsi parte a parte con una spada d'ali e di bandiere.

Un patto col lettore, dunque: inviolabile: nel bene e nel male, nella buona e cattiva sorte, nell'attesa che la morte ci congiunga e ci separi. Il matrimonio in prosa delle biografie cartacee passate e ripassate fra le dita fino a diventare proprie; il menage-á-trois tra chi scrisse, chi scrive e chi legge, costantemente fusi nell'orgia onanistica del verbo che solo volat per diventar vissuto e trasuda nell'inchiostro che si svela a propria immagine e somiglianza.

Allora sì... Allora Dio, diventato il blu cobalto della penna che graffia l'erotica sua unghia sulla pelle cellulosa, la carezza sensuale del secondo polpastrello lasciato a conturbare la macchina per scrivere, scenderebbe dal soppalco del previsto per dettare la sua lunga origine di assenza e di abbandono e il Dio-scrittore e il Dio-lettore si unirebbero nel caos del medesimo vocabolo per permermetterGli di esistere. Ma, incredibile, contemporaneamente, mentre lanciano l'immagine del Padre sopra i templi di un'umanità di per sé già divina, esisterebbero -per la prima volta- entrambi.

Così, l'incesto immorale tra chi narra e chi è narrato, sarebbe sì un sentiero che declina dal pendio dell'esistente sfiorando inenarrabili abissi di vocii policromatici, ma tutto inerpicato nello sforzo di siglare, col sangue d'ogni copia data al macero, il contratto fatto con Satana (con Dio), per farci credere immortali.

Il Dio-attivo: lo scrittore, e il Dio-passivo: il lettore, formando nel connubio il Dio superbo della conoscenza (Satana), lo saprebbero -ognuno per la sua metà di consapevolezza, ma lo saprebbero- e continuerebbero a tacerselo perché, permettendoGli di esistere, acquisterebbero la sola possibilità d'illudersi di esistere (aeternam).

Dunque, il viaggio, altro non sarebbe che un giro in tondo su se stessi e la terra, per quanto sommersa da milioni di volumi, non se ne accorgerebbe nemmeno.


Massimo Silvano Galli

Chi narra, chi è narrato   

da: Lezioni dalla Narrativa -corso di scrittura creativa (1994) di Massimo Silvano Galli
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