Giornata della memoria Oggi 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria e un po’ ovunque incalzano le iniziative per provare non solo a rintracciare i ricordi, ahìnoi sempre più sfilacciati, della barbarie che sessantaquattro anni fa emersero dal campo di sterminio di Auschwitz, ma forse (e soprattutto) per trasformare quei ricordi in qualcosa di vivo, attuale e sempre pronto a cercare e ritrovare l’umano e a contrapporsi al debordante inumano, sua polarità semantica, contraltare che non è nemmeno lecito confondere con la bestia. Perché, se è vero che la follia del nazifascismo ha trasformato una pratica comune   della   storia  in   un
punto di non-ritorno che segna nel profondo il confine tra umano e inumano, è anche purtroppo vero che questo non ci mette e non ci ha messo al riparo dalle sue riproposizioni.

Unione Sovietica, Tibet, Cambogia, Indonesia, Kurdistan, ex Jugoslavia, Ruanda… (ma forse tutti i luoghi in cui le sragioni della violenza soverchiano le ragioni del dialogo, compreso -paradossalmente- lo stesso Israele, di cui viviamo una recrudescenza proprio in questi giorni), sono solo alcuni dei teatri in cui, dopo il genocidio nazifascista, l’inumano è tornato e torna a riproporsi con la stessa agghiacciante e razionale efferatezza.

Ricordare, allora, forse non basta, se il ricordo non si svincola dalla sua naturale obsolescenza e si fa materia viva del contendere; se non penetra nelle quotidiane pratiche dell’esistere e trasforma la memoria in uno sguardo capace di traslare il passato nel presente.

Si tratta di un lavoro lungo e incessante che non può fare affidamento sulle sole commemorazioni, né sull’attesa di un rinnovato entusiasmo storiografico che, come un virus, colpisca l’umanità immemore; ma deve passare da un riorientamento dalle pratiche educative che contemplino (a prescindere dall’indirizzo disciplinare) il concetto di memoria quale fondamento dell’umano, proprietà che mentre ci distingue nell’informità caotica degli eventi, produce anticorpi e non ci estingue.

La misura di quanto ci sia ancora da lavorare e di quanto la memoria possa restare costretta nelle faglie del passato, emerge da un episodio accaduto qualche or sono in una scuola media dell’hinterland milanese dove un’intera classe è stata testimone e vittima di una pièces tristemente nota.

Ecco l'episodio, purtroppo tanto simile ad altri, ma esemplificativo nella sua simbolicità.

Eccitati dall’imminente partenza per l’annuale gita scolastica i ragazzi di una terza media inferiore giungono a scuola ognuno coi suoi cento euro necessari allo scopo ma, come nel più classico dei copioni, alla conta finale alcuni soldi sono spariti. Di fronte alla scoperta del furto si scatena la reazione del corpo insegnanti che con  minacce chiede dapprima che il reo si manifesti esponendosi al pubblico ludibrio e poi, di fronte all’insuccesso della proposta, perde completamente la ragione mostrando la faccia dell’inumano: il potere soverchiante che in virtù di un ruolo e di una presunta volontà di giustizia schiaccia l’altro, gli altri, incurante di qualsiasi collaterale conseguenza.

Per recuperare cento stupidissimi euro, per ristabilire la disciplina e l’ordine costituito, per scoprire il colpevole, per recuperare il maltolto, chiedono ai ragazzi di togliersi le scarpe, frugano indebitamente e illegalmente nelle loro cartelle, tra i loro effetti personali e, infine, non contenti, dividono i ragazzi dalle ragazze e scortano separatamente i due gruppi nelle vicine toilettes costringendoli a mettersi in mutande sotto lo sguardo attento di un adulto.

Potete pensare al disagio, potete immaginare l’umiliazione, potete sentire la violenza perpetrata su queste creature (colpevoli o innocenti poco importa, a quel punto tutti colpevoli). Ma chi faticasse a comprendere, può provare a pensare a se stesso, può provare a pensarsi sul suo luogo di lavoro, nudo, nella toilette, mentre qualcuno lo guarda e aspetta che dai suoi abiti compaiano le prove di qualche misfatto.

Sono scenari che abbiamo già visto troppe volte, che ci chiamano memorie certo più orrende ma simbolicamente identiche: identiche nella loro capacità di umiliare l’altro, di farlo sentire inferiore, inerme, violato.

Ma forse la cosa più agghiacciante, che rincara la dose rispetto al nostro discorrere, è che nessuna delle famiglie di quei ragazzi trovò nulla da ridire. Interpellati, interpretarono l’atto come funzionale al tentativo di recuperare il denaro e affinché i loro ragazzi imparassero che non si deve rubare.

Davvero strani scherzi fa la memoria.

 

Massimo Silvano Galli

Strana cosa la memoria   

da: DIxit -ricordi dal fronte (2009) di Massimo Silvano Galli
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