Il Corvo:
Come l'ombra io aderisco al corpo tuo,
penetrandoti cieco nella notte.
Il rumore della pelle mi dice
quando sali a raccogliere comete.
Non ti amo allora; eppur sì, ti amo.
Ti amo come fossi il braccio destro,
ma non ti riconosco. Io ti amo
come fossi la mia mano, attraccata,
dentro al cuore mio. È diverso che
amarti quando ridi sotto il sole,
è capire che se ci fu confine
tra aspirare e espirare le sragioni,
un sussulto ha distrutto le dogane
galoppando tra labbra ammutolite.
La Rondine:
Un fiume che plana e una corrente
di cavi ramati, fronte di luna,
fin dentro le piaghe viene a cercare
l'afrore del mio angusto cammino.
Di pelle, di pelle ho tinto la lingua
spargendo saliva lungo i tuoi fianchi.
Prendimi ora che sono di luce
le cosce, le labbra, il loro sorriso.
Dal monte arricciato scende un calvario
e dentro, più dentro, colmo di raggi,
arrivi scavando il fuoco e l'orgoglio.
Baciami in bocca e aspirami il cuore,
fa col tuo corpo le viscere mie
agnelli tremanti del sacrificio.
Il Corvo:
Piegato sul tuo seno e coccolato
dall'odore più forte della notte,
vivo d'ambra e, sulle tue mucose,
preparando giacigli ai vizi miei,
assaporo il grembo che d'amante
ti ha dato le sembianze e la postura
e sento, quando amandomi sorridi
e illumini la stanza di cristalli,
vorticare le reni del principio,
il sangue coagulato della fine.
Di me non resta, allora, che una pietra
conficcata tra forme d'altre pietre
e un senso d'immota solitudine
che tutto mi trasporta come piume.
La Rondine:
Divorata per un fine confuso
e per questo annunciando la vittoria
degli umori sulle anime avvizzite,
mi divincolo all'umano pudore,
e son tua, dove tutto è ritmo e istinto,
ed è tua, con le labbra e con le dita,
la ferocia animale che consumo
invocando la frusta del piacere.
Le mie pietre, che ti allattano a vino,
distillate mi tornano alla bocca
e tu, ubriaco di perdute grida,
senza corpo né senno ti abbandoni
al fluire della magica schiuma
nel mio mare di urla tempestose.