Rosso. Lui si gira e mi guarda per un istante, o forse è solo il suo riflesso dentro lo specchietto, perché, quando alzo gli occhi, vedo appena la sua nuca di un bel grigio che pare dipinto e i suoi occhietti sottili impressi come un ologramma nel piccolo rettangolo del retrovisore. La prima entra piano scivolando sugli ingranaggi. Verde. Si riparte. Probabilmente si è accorto del mio sguardo curioso visto che, poco dopo l'incrocio, alza il mento sopra la visuale del parabrezza e una parabola del suo sorriso da nicotinomane lampeggia nell'antro della macchina. "Altri duemila attacchi oggi, gli stiamo facendo vedere i sorci verdi a quelli là.". E, quelli là, sono il popolo irakeno, su cui da qualche mese, la bonarietà delle Forze Armate d'Occidente, sta scaricando tonnellate di pillole esplosive che, dicono, intelligenti. La faccia scavata, le occhiaie profonde, il pallidume post-cadaverico di chi sta girando da tutta la notte: su e giù per sensi unici, circonvallazioni, strade malfamate e senza uscita per chiamate di puttane infreddolite, travestiti bastonati e sanguinanti, ombre ubriache della notte. E lui con le pupille stanche, ma sempre attente sui sedili posteriori, a scrutar le intenzioni del cliente di turno. Lui col pensiero che volge alle scarpe infangate sui tappetini nuovi o alle bruciature di sigaretta. Lui con le sue iridi scure e impercettibili, che faticano a contenere tutta la feccia passata su questi sedili, con la sua retina che sa il prezzo d'ogni benessere presunto e forviante. "Io non ne andrei troppo fiero.". L'orologio sul cruscotto, le classiche ingenuità scaramantiche della foto di famiglia: «Non correre, pensa a noi». Un blocchetto per gli appunti vergato dallo stemma d'un acqua minerale, l'adesivo di un club calcistico che dice: «Vinciamo tutto, anche la violenza». "Ah..." dice, con la sufficienza del pressappochismo racchiusa negli slogan da prima pagina che ogni efficiente e democratico organo d'informazione non ha trascurato nemmeno questa volta di spacciarci per verità, "...lei è uno di quei pacifisti con il mito della non violenza!". Le luci si fanno più intense. Un giovane militare scruta nel finestrino, poi l'aeroporto desolato mentre qualcosa come un'alba sfiora le costruzioni. Io non ho bagaglio, solo lo stretto necessario per lavarmi i denti. Così lui non deve scendere per recuperarmi la valigia. Storce un poco il collo, allunga la mano per afferrare i soldi che gli sto porgendo e solo adesso vedo una striscia tricolore circondargli il braccio a mo' dì fascia. Lui vede che l'ho notata. "Mio figlio è là," dice. "Marina".
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