Son qui al mercato rionale, vicino alla fermata del metrò Roquetes, che faccio un po' di spesa al banchetto dell'ortofrutta e speculo intellettualmente tra Rimbaud o patate; prezzemolo, Artuad o mandarini; ciliegie fuori stagione o Chatterton; Berryman o cavolfiori; Pavese o cipolline bianche; limoni o Crane; arance, Pascal o mele del Trentino; Lorca o carciofi; ananas molto esotici o Pound; Levi o pomodori; Dostoevskij o melanzane; insalata belga o Hemingway; Pasolini o ravanelli... perché sono appena uscito da una bella libreria dove c'erano proprio tutti e sono in trance tra la brutta fine che han fatto, la fame nel mondo, il dubbio che non ne valesse francamente la pena, e il dilemma della cultura contrapposto alle ragioni economiche di un'adeguata scelta alimentare, tipo insalatona condita di spezie... quando...

Isabel si fa largo tra la poca folla in coda, come una folata di vento che mi scivola addosso.

"Hola, moro! Ti ho visto da lontano, ma non sapevo se eri veramente tu" bacio leggero, a fior di labbra: s'una guancia -sarà pudore? "Che fai qui?" bacio sull'altra guancia, più intenso.

"Mi interrogo sul destino del mondo, no! Cosa vuoi che faccia uno in coda davanti a un banchetto di frutta e verdure?" sorriso.

"Come?" e continua a guardarsi attorno, tutta nervosetta e schizzata come un elettrone in gita a Protonia o un senegalese a Bergamo.

"Niente, lascia perdere. Tu piuttosto..."

"Be', non volevi sapere cosa faccio nella vita?" e con le manine allarga il grembiulino bianco macchiato ovunque di sangue rappreso e fa un giro su se stessa, come un'arcaica sposa vergine col suo abito nuziale che, impaziente, attende la prima notte, quando quel candore si tingerà, una volta e per sempre, di nuove sfumature.

"Jack lo squartatore?" provo.

"No" ride divertita "la macellaia... anzi, vieni, che devo tornare subito al banco, che c'ho lasciato mia sorella, che col sangue non va troppo d'accordo. Sai, lei è una intellettuale!" e mi prende per una mano trascinandomi via.

Bel caratterino questa Isabel, e pensare che a casa di Agueda mi era sembrata eccessivamente taciturna e remissiva.

"Ma guarda che gli intellettuali col sangue ci vanno a nozze" cerco di mantenere il posto in coda, che appena ho spostato un alluce due casalinghe, tipo Rambo, sono scattate pronte a fregarmelo. "...e poi la mia spesa"

"Sììì..." ride "Dai, vieni, che andiamo a bere un aperitivo, la farai dopo la spesa, che se no quella mi mette un muso!"

"Oh, ma che tipetto" dico, e non so se penso a lei o alla sorella, ma mi immagino una signorina dodicenne tutta snob e altezzosetta, nel suo vestitino di fior rosa, occhiali rotondi e dispense critiche su qualche Cantar de Mio Cid, che tanto mi far venir voglia di ogni culinario ben di dio -per dire come delle volte sia la vita a decidere per te. E invece...

Rosario -la sorella- sta dietro il bancone insanguinato come la regina Elisabetta sul suo trono anglosassone: nobile come un cavallo purosangue dalla pelle olivastra. La minigonna due dita appena sotto le anche, le calze di nailon fasciate attorno alle gambe modellate in ore e ore di crawl olimpionico, la giacca di tweed, il sorriso luminoso, il naso importante ma altero, come un tocco di imperfezione di scuola modigliana sulla perfezione del visino tagliente che la dice tutta sul suo modo di affrontare la vita a muso duro, e una decina di anni in più di quanti non gliene avessi preveggentemente attribuito.

Sta lì come la prima della classe, pronta a rispondere a tutte le domande, alle richieste insolenti dei clienti che vogliono essere serviti, cosa che lei continua a rimandare, senza addurre a motivazioni, con il palmo della mano rossoguantata teso in un punto esclamativo di attesa. Si vede che quei sei centimetri di altezza in più che il palchetto del bancone le dona rispetto al resto del mondo, la investono di un'autorità non comune a nessun astante mortale, la graduano di un potere di cui lei, subito, approfitta, sbadigliando alle invettive di questa e quello.

"Ma guardala lì!" dice Isabel indispettita, non so se per la scioperata o per contrapporsi al mio sguardo rapito, quasi a consigliarmi di lasciare perdere "Lo sapevo io che non c'era da fidarsi. Nemmeno un coltello ha toccato la principessina, nemmeno un cotechino"

Ma io non mi lascio intimidire. Abbagliato da tanta sfacciata bellezza, ruggisco con occhi incantati. Colpo di fulmine? Sarebbe la prima volta. Eppure su di me, in un attimo di resurrezione e pentecoste, si è abbattuto un temporale improvviso e, poco dopo, un piccolo arcobaleno sorrideva nel mio cielo istantaneamente sereno e, col suo arco colorato, andava a sconfinare dietro il suo emisfero cerebrale...

Quante volte ho seguito questa scia di colori iridati, cercando in fondo al suo sparire un pentolino pieno d'ori... Quante volte son corso fin là: tremante, eccitato, spaurito e poi: deluso, sconfitto, amareggiato, son tornato indietro stringendo solo rabbia e dolore tra le mani...

Eppure questo non mi sembra ti abbia mai impedito di andare a curiosare lo stesso... Già!.

E allora, ipnotizzato e guidato da una forza superiore a me fin'ora sconosciuta, mi butto a tracciare solchi d'aratro per semine di future passioni: la scruto da dietro la mia sfera di cristallo scordando il passato e le sue brutture, immobile e sferico nella mia ansia di domani a venire, ma pronto a lanciarmi, come un calendario perpetuo incurante del tempo, sopra ogni oggi.

Sorrisi. Sorrisi. Sorrisi. Isabel si profonda in scuse con gli avventori, mimando profuse promesse di conti da fare all'impassibile sorella. Ma ormai la ressa è troppa perché possa tirar giù la saracinesca e venir via, magari col rischio di perdere più clienti di quanti non ne abbia già fatti fuggire l'assenteismo sanguigno di origine vegetariana -presumo- della sorella. Quindi si scusa e mi congeda, ma insiste perché noi si vada comunque al bar che... "Magari vi raggiungo dopo".

Rosario non pare troppo d'accordo con questa decisione presa a scapito delle sue voglie-di-non-so-che. Sbuffa ma, forse per farsi perdonare, mette a tracolla una borsa gonfia di libri e con le lunghe ciglia mi spinge fuori dal mercato.

Il bar è un tipico fumoso locale spagnolo con televisore sempre acceso nell'angolo alto in fondo alla stanza, odore di fritto dalle cucine e vocii altisonanti di operai che bevono cerveza e mangiano bocadillos y tortillas a tutte le ore del giorno e della notte. Per arrivarci, lei, ha voluto prendere la sua ventotto da uomo che aveva previdentemente lasciato legata a un palo della luce. È salita sul sellino tirando su leggermente la gonna sui fianchi, e le sue gambe rifinite al tornio sono sgusciate fuori del tutto - olé!

"Quella lì" ha poi detto scocciata, ovviamente riferendosi alla sorella " deve sempre scombussolarmi tutti i piani. Ero uscita per farmi un bel girettino in bici e invece no. Be', il bar è quello, io vado avanti" e con un colpo di reni mi ha preceduto scivolando via controvento: bella ciclista bruna dagli occhi ridenti .

Così, quando poco dopo arrivo, lei è già dentro: seduta a un tavolo un po' scostato che gira svogliata Il giocatore del signor Fëdor e tira annoiata da una sigaretta, ma sembra aver lasciato fuori il broncio perché, per la prima volta, sorride guardandomi entrare e lì, in mezzo a quegli spazi bianchi di candida verginità del sentire, sento pulsare -carica di messaggi a venire- la sua anima.

"Allora è vero che sei un' intellettuale" cerco di attizzare la voglia di giocare all'identikit degli sconosciuti, che, certamente, divampa anche dentro lei, o, forse, solo per rompere, scoprendola, questo incantesimo d'amore in cui proprio non mi riconosco, tanto che se all'improvviso mi dovesse dare un bacio, sono sicuro che mi trasformerei immediatamente in un rospo.

Sorride divertita scuotendo la testa "Te l'ha detto mia sorella, vero? Per lei qualsiasi persona che abbia letto più di due libri in tutta la sua vita è un intellettuale" e a ogni suo bagliore di incisivi superiori piano sento trasformarmi in un libro aperto che si legge al contrario nello specchio dei suoi occhi, denudato fino all'osso da un fascino affilato che mi sta scuoiando, mentre il mio cuore pulsa dietro la cassa toracica, facile preda delle sue mani...

"E tua sorella quanti ne ha letti?" Ma quale incantesimo! Io dico che è l'amore e pronto mi preparo sulla soglia del burrone. Sia quel che sia: restare nel baratro della solitudine, o scalare con lei costellazioni sconosciute... disposto a tutto per un microattimo delle sue braccia intorno alla mia vita. Troppo enfatico? No! Il mio ventre senza veli danza e grida tutto questo e io non posso, non voglio trattenerlo. Mi costringe a spogliarmi donando pulsazioni miocardiche alla scienza inesatta delle emozioni, devolvendo al suo museo della memoria, alla sua pinacoteca del piacere, alla sua fondazione dell'anima: la mente, il corpo e, se sarà possibile, ogni liquido seminale, perché, ogni cellula che mi appartiene, le appartenga. Ho imparato a buttarmi subito nel gelido ruscello delle infatuazioni, perché la vita é troppo breve per perdere tempo in futili attese di momenti opportuni; ho imparato a non riuscire più ad amare in altro modo: in modo guardingo, a esempio, o centellinando, come un tempo, le mie emozioni. Sono una valanga che straripa dai pori della pelle e, con le sue labbra di neve, volentieri, ricoprirebbe di ghiacci e stalagmiti ogni millimetro del suo corpo, con l'immortalità di un amore eterno come la materia intrisa di energia vitale che si rigenera...

Cosa di cui lei, molto probabilmente, si sarà già accorta, visto che, a un tratto, senza il benché minimo pretesto e saltando a pié pari la mia futile domanda, vola a fissare subito il decalogo dei patti chiari.

"A me" dice "gli italiani non sono mai piaciuti, sai? Sembrano così perbenino. Così fastidiosamente ricercati, all'ultima moda. Coi capelli perfetti, che paiono appena usciti dal parrucchiere, ma poi, scavi un po' più sotto e, almeno i pochi che ho conosciuto, si sono sempre rivelati dei perfetti idioti. Li vedi lontano un miglio. Girano per la Rambla guardando con occhi assatanati tutte quelle che passano, quasi che non ce ne sia una che non sia buona da scopare, ma, scusa, a voi le donne non la danno?" cerca di indispettirmi provocandomi, ma subito la metto in riga, e la faccio ridere e scrutarmi con malcelata curiosità quando cerco di spiegarle che io non mi ritengo italiano e che se non fosse per Dante, Petrarca, Boccaccio e pochi altri, avrei già cambiato nazionalità da un pezzo.

"Comunque io non sono un intellettuale. Mi piace leggere e basta. E solo romanzi, per giunta o, al massimo, saggi. Il giornale, per esempio, non ci riesco..."

"Be'" dico io, cercando l'ennesima punzecchiatura "più intellettuale di così! Sono proprio quelli come te i veri intellettuali. Gente che cita e cita senza sbagliare una battuta. Gente che ha letto tutto ma non riesce a vedere un po' più in là di ciò che ha letto, perché gli manca qualsiasi riferimento con la realtà"

"Ma sai che sei un bel tipo!" sobbalza lei, giocando a fare l'indispettita "Non ti conosco nemmeno da dieci minuti e già ti permetti di criticarmi"

"La critica, come l'amore, non può che porsi un solo obbiettivo: scavare nell'opera fino a scovarne ogni suo più recondito significato... e io non ho ancora capito se sono di fronte a un'opera d'arte o all'amore, oppure a entrambe le cose contemporaneamente".

È a questo punto che, mentre un cameriere bruno appoggia sul tavolo l'aperitivo, lei arrossisce e ammutolisce, dando inizio alla tracheotomia di uno scarabeo senza vocali.

Io la chiamo, con la finta disinvoltura di chi non cerca che il pretesto per spalancare da vicino l'anima ai suoi sguardi... Lei mi chiede, attraverso la grata di quella sua bellezza millenaria che, a tutti i costi, cerca di nascondere abbassando gli occhi incupita, come se un macabro pensiero, a me inafferrabile, le scorresse, di tanto in tanto, improvviso nella mente, andando a colorare di tristezza il suo sorriso gaio ... E, in mezzo, come un filo di rame che ci unisce lasciando scorrere la corrente (che non ci diciamo) dal polo dell'uno a quello dell'altro, un destino ineluttabile -in cui non credo- promuove di nascosto nuove voglie di scoprire e di scoprirsi, accende lampadine dimenticate e come una vecchia zitella travestita da Cupido, ricama pazientemente incontri, cuce, in coppia, pezze di tele sconosciute, per sconfiggere la noia.

Comunque, possibilità di rincontrarsi a parte, un giorno o l'altro dovrò proprio ringraziare la piccola Agueda (cosa che, a ben pensarci, ho già fatto con il mio servizio di colf) per avermi fatto conoscere Isabel, senza la quale mai avrei potuto incontrare questa principessa sul grande pisello induista di Bombay, pronto a reincarnarmi verso la perfezione dell'anima alla sola vista di cotanta bellezza. Perché Rosario è veramente di sangue nobile e mentre ci bevevamo sorseggiandoci ognuno dentro al suo cocktail, trasudava fiumi azzurri di aristocrazia, stringeva la mia mano con pensieri di kilim, e fili d'oro incenso e mirra erano i peli, gli umori, i respiri di lei. Credo che fin dal mercato abbia persino smesso di percepire, con qualsiasi senso, la presenza di Isabel, dedicandomi esclusivamente alla contemplazione del corpo di sua sorella. Cosa che la bionda non deve proprio aver gradito visto che c'ha congedato con la scusa scocciata del lavoro -o forse è stata la stessa Rosario a farle un cenno? Non saprei. Ricordo tutto confusamente. Solo ora mi accorgo che ero completamente svanito e svampito e per non so quanto tempo sono rimasto in questo stato, salendo e scendendo con l'immaginario palmo delle mani lungo i perimetri asfaltati in polline della sua pelle. So, però, che lei, ogni tanto, rideva e cercava di divincolarsi quando arrivavo in prossimità dei fianchi e un leggero brivido cominciava a farle da staffetta dei quattrocentometri-ostacoli lungo la sottile peluria... E ora non riesco che pensare a lei; e ora, non riesco che scoprire lei: guardarmi con quegli occhi di infinita profondità, dove cerchi concentrici si allargavano e si stringevano come l'acqua di un pozzo in cui è caduto un sasso: e quel sasso, per un attimo, ho creduto di essere io.

Quando ci siamo lasciati senza prometterci niente, entrambi sicuri che prima o poi le nostre strade si sarebbero rincrociate, erano quasi le tre del pomeriggio, il sole batteva alto, i miscugli alcolici erano diventati caldi e il mercato aveva bell'e che chiuso i battenti... Giocoforza, sono passato a comprare mezzochilo di Dostoevskij.

Massimo Silvano Galli

Mezzo chilo di Dostoevskij  

da: Forse io ho un'anima rossa -romanzo (1993) di Massimo Silvano Galli
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