Per Adele, il primo colloquio, verso metà gennaio, fu come riprecipitare in un pozzo da cui non era mai uscita, fu il ricadere programmato nelle trame di un sottile ricatto, che lei tornava ad aggirare con cura.

Le agenzie, per lo più illegali, avevano strani nomi in cui ricorrevano parole come: Vita, Principio, Genesi; vere e proprie organizzazioni internazionali celate dietro sigle in codice quali: ARNO (Associazione Ripopolatrice Nuovi Orizzonti), EVA (Ente per la Vita e l'Amore); ma anche mondi minuti e provinciali, che si presentavano sotto le mentite spoglie dei laboratori terapeutici, o in quelle più infime dei maghi dai fluidi panacei.

Chi gestiva l'agenzia era solitamente il professionista di insuccesso, quello -cioè- che aveva trovato il successo nella privacy e nell'immediatezza (entrambe le virtù lautamente sovrapprezzate) di quei servizi che lo Stato non sapeva o non poteva garantire: chirurghi, psicanalisti e persino notai e avvocati.

I maghi, invece, erano molto più alla buona: contadini che avevano confuso il pollice verde con la taumaturgia, gente che fino a qualche anno prima avrebbe potuto -al massimo della popolarità- leggere i tarocchi nell'androne di qualche circo e ora si faceva chiamare "pranoterapeuta", atteggiandosi a scienza.

Uno di questi stregoni metropolitani le fu consigliato da Mario, il custode che, da quando l'aveva salvata dal mostro, non perdeva occasione per attaccar bottone.

Le era piombato in casa un giorno con la scusa dello zucchero finito e aveva attaccato la sua solita nenia autobiografica. La guerra che "... È una brutta bestia". Il figlio "... Che ciaveva un lavoro in mano e invece no, è andato a studiare. E per cosa, che adesso non trova lo stesso il lavoro? Cinque generasioni di custodi, ma lui no. Non ci piaceva...". Insomma tutta una tarantella della sua vita che Adele aveva interrotto solo quando aveva sentito la parola "mago".

"Sì, un mago. Cioè, adesso non mi ci viene la parola. Uno di quelli che ti ci guariscono con le mani. Perché io non mi ci fido più più dei medici, che una volta ciavevo un mal di testa che non passava no. E allora giù pastiglie, giù pastiglie: ma il dolore era sempre lì. Poi un'amica della mia moglie mi dice: vai dal mago che te lo fa passare lui! E io giù a ridere. Poi però ci sono andato lo stesso, tanto per vedere. BÈ, lei non ci crederà, mi cià messo su le mani lui e in un attimo non ciavevo più niente. Sparito tutto"

Quando Mario estrasse il biglietto da visita che teneva sempre nel portafogli "Perché non si sa mai...", Adele capì che quell'indirizzo poteva fare al caso suo e lì, su due piedi, s'inventò uno strano dolore all'alluce che la perseguitava da anni.

Il biglietto citava, in piccoli caratteri corsivi, le facoltà paranormali di tale Mago Abrlì: "Risolve problemi di cuore, affari, fatture, malocchi..." poi, come se non bastasse "...Guarisce dai mali che attanagliano l'umanità e altro..." seguivano un indirizzo e un numero di telefono.

Fu quel ".e altro" ad incuriosirla (simbolo di qualcosa che colmava lo spazio tra l'Onni e la Potenza: nemmeno Gesù Cristo l'avrebbe messo nel suo curriculum vitae), perché sapeva che la risoluzione dei suoi problemi non poteva stare che in quest'ultima categoria.

La sera stessa si mise in contatto con Abrlì e fissò un appuntamento per il sabato entrante.

Era uno degli ultimi freddi pomeriggi dell'anno, ma c'era un bel sole e un cielo limpidissimo.

Adele solcava l'autostrada con il finestrino abbassato e un vento fresco e apparentemente pulito le gonfiava i lunghi capelli ricci e neri.

Non aveva mai creduto ai maghi: prestigiatori, cartomanti o guaritori che fossero e se spesso si era prestata ai loro giuochi era stato solo per smascherarli pubblicamente.

Mentre l'automobile prendeva maggiore velocità sorpassando un long-veicle di targa austriaca, si ricordò di uno di questi episodi -forse il primo di una lunga serie- e sorrise, fiera di sé...

...Non aveva più di sei anni e, al collegio femminile, per il carnevale avevano invitato un vecchio prestigiatore che arrotondava la minima pensionistica con questi spettacoli per scolaresche.

Dopo un paio di numeri in cui, pronunciando a fior di labbra la parola abracadabra, aveva fatto scomparire alcune biglie con le facce dei ciclisti e un coniglio spelacchiato; il calvo signore in smoking aveva chiesto se ci fosse qualcuno, fra il pubblico, disponibile a fargli d'assistente.

Tutte le bambine si erano nascoste il viso tra le gambe ritraendosi in risolini vergognosi. Solo una manina si era timidamente levata fra il brusio fanciullesco: era la mano di Adele.

"Vieni, non aver paura." aveva detto il prestigiatore "Ma che bella bambina. Su, facciamole un grosso applauso".

Il compito di Adele consisteva nel sorreggere una scatola di cartone.

"Ora io coprirò la scatola con questo foulard magico, metterò questo orologio dentro la scatola e quando pronuncerò la parola magica e leverò il foulard magico, l'orologio sarà sparito".

Tutte le bambine si fecero silenziose mentre il mago eseguiva ciò che aveva annunziato, ma proprio quando aveva finito e stava per pronunciare l'abracadabra Adele lo bloccò.

"Ma non l'hai messo l'orologio" disse.

Il vecchietto sorrise cercando di restare calmo "Ma sì che lo messo, tesoro. Avete visto tutte che l'ho messo. Vero che l'ho messo?".

Un coro di sì si levò dal pubblico.

"No!". insistette Adele "Non l'hai messo; hai fatto finta e poi l'hai nascosto in tasca" quindi mollò la scatola e, frugando nelle tasche dello smoking, trovò l'orologio.

Il volto del mago si scolpì in una maschera di odio e abbandonò la scena fra il triste stupore delle bambine che lo guardarono, come un padre colto nell'atto di infilarsi una barba la notte di Natale...

Un'auto di grossa cilindrata chiese strada lampeggiando più volte. Adele alzò il medio della mano sinistra e si spostò nell'altra corsia.

Ora si stava recando da un mago, ma in lei non v'era alcun desiderio di smascheramento. Sapeva che quel "...e altro" nulla aveva a che fare con la magia: né bianca né nera. Celava solo il potere degli intrighi mafiosi a partecipazione statale.

L'inclito tempio di Abrlì era sito in un unico stanzone al terzo piano di una palazzina nel centro antico di Bergamo.

L'improbabile deux ex machina la ricevette nascosto nell'imperscrutabilità di un paio di rayban scuri che non riuscivano a celare quella faccia da orco ben pasciuto che spuntava maialina sopra un saio di tulle viola stretto in vita da un cinturone di cuoio con strani stemmi e amuleti.

Adele lo guardò perplessa e divertita al contempo, poi avanzò sospettosa ma, prima che potesse dirgli alcunché, lui le allungò una tazza fumante e recitò con voce afflata: "Beva la tisana della lunga vita e s'inebri nel sacrificio del geco da cui è estratta, poi parleremo del dolore".

Adele non capì cosa volesse dire e bevve quell'intruglio disgustoso riempiendosi gli occhi di statue minacciose, crocifissi e mappe del cielo che macchiavano d'occulte sapienze i muri affrescati.

Non c'erano finestre nel tempio dello stregone e la sola luce filtrava fioca da un mosaico a vetro raffigurante una specie di uomo-coccodrillo nella consuetudine prosaica di rivolgersi a qualche Dio pagano.

Adele tossicchiò respirando l'aria tumefatta d'incenso che ungeva ogni gesto con la sacralità di una funzione religiosa e, chiedendosi se quella bevanda verde non fosse uno strano fluido per assoggettata ai suoi voleri, decise di andare subito al sodo: "Finiamola con 'sta storia non sto cercando nessuno stregone" disse guardandolo seria e incattivita in un sol fiat.

Il mago Abrlì la scrutò con l'occhio indignato del custode di moschee che, in virtù del turismo, sopporta a malapena il sopruso dei piedi occidentali giunti ad infrangere il suolo di un Dio così paradossalmente incalzante. "Per qual motivo è venuta a me?" chiese, e la sua voce suonava già così più commerciale che avrebbe potuto avere in mano un etto di salame, perché l'intonazione sulle note del "In che altro posso servirla?" sarebbe stata la stessa.

"Oh" disse lei sorridendo e sembrando tornar gioviale "ma per Andrea!"

Adele spiegò per filo e per segno il suo progetto, guardandosi bene dal rivelargli il vero motivo di tanto interesse.

Lui continuava a guardarla senza capire il nesso tra la sua ambiguità e quello che veramente ci stava dietro. Si toglieva gli occhiali e se li rimetteva. Era nervoso. Aveva capito che avrebbe dovuto mettersi completamente in gioco ed era indeciso sulla tattica con cui avanzare. "Voglio esser franco con lei" disse, disfacendosi dall'ormai inutile verbosità da genius lòci e indossando i panni meno mendaci del commerciante senza scrupoli "Non posso risolverle il problema nei termini in cui mi chiede. In compenso vorrei proporle una soluzione" e sottolineò questa parola quasi sillabandola " che penso le possa interessare".

In quell'istante Adele capì che aveva fatto un viaggio a vuoto, che aveva perso quel tempo per lei preziosissimo. Ma stette ugualmente ad ascoltare, pur sapendo quale sarebbe stata la sua risposta: non avrebbe accettato alternative.

La proposta che seguì del guaritore-mago-astrologo-e-altro riuscì, malgrado tutto, a lasciarla perplessa.

C'erano dunque persone in grado di fare ciò di cui lei aveva più bisogno e di sbarazzarsene, di elargire il frutto del loro sudore al migliore offerente. Lei non avrebbe incrementato quel mercato. Nessuno scrupolo morale, per carità! Semplicemente un cavillo del ricatto non glielo permetteva.

 

Massimo Silvano Galli

Il mago Abrlì   

da: Omopuzzle -romanzo (1992) di Massimo Silvano Galli
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